La depressione, questo il vero motivo che provoca lo sconforto giovanile e, di conseguenza, le cifre e le percentuali contenute in questa indagine. La società non è altro che un grande individuo; si parla infatti, anche di corpo sociale che è la somma dei singoli e viene influenzato da dinamiche esogene ed endogene e allo stesso tempo, porta alla depressione individuale. Come si comporta il singolo depresso, vede tutto nero e per aiutarlo bisogna forzarlo a pensare positivo. Ma, da quando la crisi è cominciata, a tutti i livelli, viene ripetuto come un mantra, tutto va male e non c’è soluzione. Sui più deboli e più depressi, dai singoli alle aziende, questo atteggiamento psicologico, porta alla fuga in due modi: il suicidio o l’emigrazione. Nessuno esce dal coro pessimistico, mostrando soluzioni realistiche, illuminate dalla positività, se non dall’ottimismo, creative; nessuno salvo la Coldiretti che, soprattutto attraverso i suoi giovani, porta avanti una vera rivoluzione verde, quel verde che è anche il colore positivo e rilassante (dai prati alle divise dei chirurghi); una rivoluzione dalla passione trascinante fatta di concreti, che monta sempre più, lavorando e testimoniando, come il cambio di passo, di stile di vita, il ritorno alla campagna, rappresenti recupero di idealità e bellezza, non solo per il futuro, ma ancor più, nel presente; l’agricoltura, declinata in molte forme giovani, creative e appassionate, preso come scopo del vivere, per ritrovare sé stessi, i valori umani e della persona, attraverso un protagonismo di soddisfazione personale e felicità spirituale, ancor prima che materiale ed economica, ridando idealità e senso alla vita propria e del proprio Paese, che non fa sentire più depressi ed emarginati, ma artefici del proprio e altrui benessere.
LAVORO: DA CALL CENTER A SPAZZINO, I “SOGNI” DI 1 GIOVANE SU 4
Per 8 su 10 serve per trovare il posto serve la raccomandazione.
I giovani che si sono dati alla ricerca attiva del lavoro nell’ultimo anno hanno presentato in media 20 “curriculum”, ma una percentuale del 44% non ha inviato alcuna domanda di assunzione o lavoro. La grande maggioranza (41%) ha spedito un numero di domande compreso da 1 a 5 nell’arco di un intero anno. Non va però sottovalutata la presenza di una minoranza del 14% di giovani che, durante l’anno, ha ricevuto oltre 50 porte sbattute in faccia, risposte mancanti o negative, di fronte alla richiesta di lavoro. Preoccupa il fatto che l’80% dei giovani fino a 34 anni, dichiari di conoscere qualcuno che ha trovato lavoro grazie alle raccomandazioni che gli scandali e le difficoltà economiche non hanno fatto venir meno. “La crisi, come spesso accade, è un acceleratore che fa emergere i caratteri profondi di un paese, anche quelli più deteriori. Sotto questo profilo, contemporaneamente a politiche pubbliche impostate sulla “trasparenza”, serve una robusta assunzione di responsabilità individuali. E i giovani forse, hanno qualcosa in più da dare”, ha affermato il presidente della Coldiretti Roberto Moncalvo.
Nel Paese più bello del mondo, la maggioranza dei giovani (51%), nel 2014, è pronta ad espatriare per motivi di lavoro, mentre il 64% è disponibile a cambiare città. La maggioranza assoluta dei giovani italiani, che sono stati chiamati choosy, bamboccioni o privi di ambizioni, ha in realtà la valigia in mano. Il motivo principale che spinge i giovani ad emigrare, è il fatto che, il 19% consideri l’Italia un Paese fermo in cui non si prendono mai decisioni; una percentuale del 18% punti il dito sulle tasse e il 17% chiami in causa la mancanza di lavoro a pari merito con la mancanza di meritocrazia. C’è tuttavia una minoranza del 27% di giovani che pensa ancora che l’Italia possa offrire un futuro per il valore del Made in Italy (23%) che si classifica alla pari con le competenze e la creatività (23%) e le risorse ambientali e culturali (23 per cento). “In un Paese vecchio come l’Italia la prospettiva di abbandono evocata dalla maggioranza dei giovani italiani, è una perdita di risorse insopportabile se si vuole tornare a crescere”, ha affermato il presidente della Coldiretti Roberto Moncalvo nel sottolineare che “negli ultimi cinque anni, in Itali,a sono aumentati percentualmente, tra gli occupati, gli over 55, mentre sono calati i lavoratori più giovani, a differenza di quanto è avvenuto in tutti gli altri Paesi industrializzati secondo il rapporto “Global Employment Trends 2014″”.
Quasi un giovane italiano su tre (31%) non conosce il nome del Presidente del Consiglio; il 30% quello del presidente della Camera e il 37% quello del presidente del Senato, a conferma del gap che deve essere ancora colmato tra politica e popolazione; il che evidenzia come, il positivo ringiovanimento della politica, non sia ancora entrato nel profondo delle nuove generazioni. Secondo l’indagine, appena il 5% dei giovani italiani non conosce il Presidente della Repubblica Giorgio Napolitano e il Papa che, tra le nuove generazioni del 2014, regnano ancora incontrastati tra le star della vita economica e sociale. Se sui nomi regna l’incertezza, molto chiari sono invece gli obiettivi indicati dai giovani per il nuovo Governo con in testa l’economia e il lavoro (81%) che battono nettamente le riforme elettorali e costituzionali (43%) con l’ “Italicum”, che si classificano quasi a pari merito con i servizi come scuola, sanità e trasporti (42%). Nell’ambito economico, priorità viene data alla crescita (65%) e, a seguire, a pari merito difesa dei posti di lavoro, riduzione delle tasse e lotta all’evasione (49%). Per il presidente della Coldiretti Roberto Moncalvo “la crisi occupazionale si fa sentire in termini che non hanno precedenti dal 1945 ad oggi, all’interno dell’universo giovanile. Si è creata una barriera di entrata nel mondo del lavoro, che rischia di indebolire in modo strutturale la coesione sociale del nostro Paese. Pensiamo che il tempo delle “aspirine” e dei “pannicelli caldi” sia finito: auspichiamo che questo governo giovane sappia mettere in campo “misure radicali” a costo di rimettere in discussione i patti con l’Europa” .
Solo il 4% dei giovani italiani si sta impegnando in politica, anche se, il 36% lo ha pensato, ma non lo ha fatto; mentre una stragrande maggioranza (56%) è profondamente distante. A stare lontano dalla politica, sono soprattutto le giovani donne (70%) piuttosto che gli uomini. Se più di un giovane su tre (34%) giustifica il mancato impegno con uno sprezzante “sono tutti ladri”, una percentuale elevata (32%) non si ritiene adatta, mentre il 22% non è semplicemente interessato. Tra chi si impegna o impegnerebbe in politica, ben il 53% lo farebbe per il bene del Paese e degli italiani, il 31% per motivi ideali, ma ben l’8% perché ritiene che sia un buon viatico per guadagnare denaro. La diffidenza nei partiti, è maggiore rispetto a quella della politica e supera anche quella verso altre forme associative che pure soffrono la mancanza di coinvolgimento. Il 23% dei giovani si fida molto o abbastanza dei sindacati, il 26% delle associazioni cattoliche, il 41% degli ordini professionali, il 53% delle associazioni ambientaliste, il 55% delle associazioni dei consumatori, il 56% delle associazioni degli agricoltori. “Conforta scoprire che le associazioni ambientaliste, dei consumatori e degli agricoltori – che hanno messo i ‘beni comuni’ ai vertici della propria agenda – sono le uniche a registrare un livello di legittimazione medio-alto”, ha affermato il presidente della Coldiretti Roberto Moncalvo.
Il ringiovanimento della politica ha creato aspettative anche per le nomine di manager in società pubbliche e partecipate statali che sono in scadenza, con il 79% dei giovani che chiede addirittura nel 2014 l’inserimento dell’obbligo di una quota giovani per le assunzioni in aziende pubbliche e private. L’analisi Coldiretti/Ixe’ evidenzia che, l’abbassamento dell’età media del Governo Renzi è considerata una scelta rilevante da mantenere anche nelle circa seicento poltrone delle società controllate dallo Stato da assegnare nei prossimi mesi. Per favorire la “staffetta generazionale” ben l’87% dei giovani chiede la fissazione di un limite di età per lo svolgimento di incarichi parlamentari, in amministrazioni pubbliche e in aziende pubbliche. Per il 56% dei giovani italiani tale limite dovrebbe essere fissato a non più di 60 anni, ma uno zoccolo duro del 25% chiede addirittura che l’età del “pensionamento” sia fissata a 55 anni per liberare posti di lavoro, mentre una percentuale del 18% chiede che il tetto sia fissato a 65 anni. Dopo il profondo rinnovamento nella politica, dai partiti alle sedi istituzionali, la classe dirigente piùvecchia d’Italia si trova nel mondo economico, secondo lo studio dei giovani della Coldiretti. I presidenti e gli amministratori delegati delle principali società a partecipazione statale hanno una media di 62 anni anche se il record è fatto segnare dagli istituti di credito, con l’età media dei presidenti e degli amministratori delegati dei principali gruppi bancari italiani che è di 69 anni. Hanno in media una età di 62 anni anche i presidenti di tutte le associazioni di impresa operanti nell’industria, nel commercio, nell’artigianato, nei servizi e nell’agricoltura e quelle dei lavoratori presenti in Italia rappresentate nel Cnel. “Non possiamo perdere terreno nella corsa del Paese e abbiamo ben presenti i mali che affliggono in questo momento l’Italia, a partire da un modello di sviluppo che sembra aver fatto il suo tempo, ma che nei suoi aspetti degenerativi ha raggiunto la popolazione nel profondo – ha sottolineato il presidente della Coldiretti, Roberto Moncalvo -. La possibilità di ripensare questo modello non può che passare da un profondo cambiamento che deve riguardare tanto le idee quanto gli uomini chiamati ad affermarle, a partire dalle classi dirigenziali”.